Prefazione di Daniele Fazio a "Il tutto e il niente" di Antonino Schiera (La Gru Edizioni 2025)

La passione per la scrittura sin dalla tenera età dichiarata con forza da Antonino Schiera ci regala un nuovo volume che si presenta, innanzitutto, come un intreccio di generi letterari – l’aforisma, il monologo, la poesia – che esprimono la riflessione, ma ancora di più le emozioni dello scrittore innanzi all’esistente e ciò a partire da una dimensione fondamentale dell’essere umano: l’amore. Ciò ci spinge ad affermare che anche quando esso non è esplicitamente espresso è sempre sotteso e presupposto come fosse motore e nutrimento degli stessi componimenti. 

Gli aforismi – profondi, succosi e sofferti – nella loro sinteticità restituiscono esperienze intense dell’Autore, considerazioni, letture e studi compiuti, nonché incontri che sono stati fonte di ispirazione e che sono venuti a cesellarsi nel pensiero e si sono trasformati in scrittura e sentenza. Si offrono quale fonte di dialogo, meditazione e provocazione. 

Il monologo, retto dai pilastri di diversi componimenti poetici, esplicita nel susseguirsi delle pennellate riflessioni ad alta voce che diventano indicazioni per esplorare sentimenti ed emozioni proprie dell’Autore, ma che in qualche modo intercettano costanti appartenenti alla vita di ogni essere umano e così hanno il merito di acquisire quasi un sapore universale.

Con i versi poetici – quali apici disseminati nel testo – Schiera fa vibrare le corde dell’anima, condensa i tratti dei suoi aforismi e delle sue riflessioni, offrendo immagini che vanno accostate senza fretta e che possono essere oggetto di aperture nuove circa le dinamiche interumane contemporanee, fungendo anche da richiamo all’autenticità per sottrarre quanto più possibile l’umano alla superficialità e all’appiattimento. 

Se analizziamo il nostro tempo non abbiamo difficoltà alcuna nel comprendere come “amore” resta una parola tanto bella e abissale quanto parcellizzata, consumata, abusata e quindi spesso tragicamente tradita. Evocando il titolo e cercando di interpretarlo l’amore può essere veramente tutto e può essere anche niente – mancanza e sovrabbondanza – tanto che con amore spesso si dicono anche esperienze che distruggono l’uomo stesso perché incendiate da passioni tristi. Luoghi in cui l’amore mutilato prende le vesti di thanatos. 

Giunge così la necessità di un’analisi metafisica ed esistenziale al tempo stesso di questa grandiosa capacità umana su cui fiumi di parole si riversano fino a noi dalle foci di ogni tradizione culturale e religiosa.

Rimanendo nell’orizzonte greco-cristiano, che ha strutturato la nostra civiltà, l’amore ha quanto meno tre dimensioni, pronunciate in maniera differente. Amore si dice innanzitutto come eros. Con questo si indica l’amore passionale, di conquista, quello rivolto alla corporeità. Tuttavia, lo stesso Platone, salvandolo dalla sua istintualità, con la narrazione del mito di Eros (cfr. Simposio, 203-204) lo proietta addirittura nell’ambito della contemplazione filosofica. Ogni filosofo, infatti, è come Eros che pur consapevole dei suoi limiti cova in tutta la sua esistenza la spinta alla sapienza. Essa non potrà mai essere conquistata del tutto, ma rappresenta il polo di continua attrazione e crescita dell’umano. Eros allora è mancanza, ma una mancanza che strutturalmente spinge l’uomo alla ricerca proprio in maniera passionale. Ogni attività di studio presuppone in sé dunque un qualcosa di erotico. In questo gli antichi ci vedevano anche una chiara connessione con il divino. 

Ma amore si dice anche con il termine filìa. Esso è quello vissuto tra amici, è la rivelazione concreta della natura sociale dell’uomo che, anche quando si è affrancato da altri per i suoi bisogni economici e conoscitivi, non è fatto per stare da solo ma cerca e costruisce una trama di rapporti in cui struttura la propria esistenza. Anche qui – come già ben analizzava Aristotele (cfr. Etica Nicomachea, IX) – vi sono gradazioni diverse: da un’amicizia fondata sul piacere ad un rapporto fondato sull’utilità. Tuttavia, l’amicizia più autentica non può che essere quella impiantata sulle virtù, che segna lo sforzo comune e l’aiuto reciproco a migliorare giornalmente la propria umanità, nell’ottica dell’eudaimonia, ossia di una vita riuscita. Tanto è importante la filìa che diventa anche amicizia sociale, ossia l’impegno dei cittadini di contribuire – ciascuno nel proprio ruolo – al raggiungimento del bene della comunità.

Inoltre, amore si dice col termine agape che indica l’amore di comunione, la disponibilità al sacrificio disinteressato per altri, l’attenzione che si fa dono. Quello che in termini latini si tradurrebbe con caritas e che ancor prima che caratteristica dell’uomo è l’essenza metafisica del Dio cristiano, come ricordata dall’Apostolo Giovanni: Deus caritas est (cfr. 1Gv 4,8). Questa non è una mera teoria ma trova concretezza nell’incarnazione stessa del Figlio di Dio, in Gesù Cristo che si dona – nel sacrificio della Croce – per la salvezza di tutti gli uomini. L’amore in quanto agape è un allargamento di orizzonte che non nega ma sublima le precedenti dimensioni. L’amore di conquista e l’amore donazione possono stare assieme ed essere ordinati all’interno delle dimensioni dell’umano che non è solo carne e non è solo spirito, ma un composto di entrambi, inscindibili e con confini mai definiti. Ciò che accade nel corpo ha riverbero nello spirito e viceversa. Saper dosare ed integrare le due dimensioni può certamente essere l’esercizio di un’intera vita, che vale la pena affrontare. 

Tra le righe dell’Autore, con accenti diversi nello sviluppo delle pagine, vi è un intreccio – mai banale – di queste dimensioni, che in fondo dà contezza di un’umanità che attraverso l’amore non può che compiere un cammino di realizzazione che permette lo schiudersi dell’io agli altri: solidarietà, aiuto reciproco, fratellanza. E tuttavia per quanto l’amore sia relazione essenziale in ogni ambito, emerge – anche da quanto presente nel volume – che la dimensione archetipica di tale esperienza sta proprio nel rapporto di coppia, per cui ogni altra espressione diventa in qualche modo analogica. Ciò è talmente vero che anche il libro biblico del Cantico dei Cantici definisce il rapporto d’amore tra Dio e il suo popolo o l’anima dei fedeli attraverso i simboli di un amore totale: dal corteggiamento, al fidanzamento, alle nozze. 

La vita così viene sottratta alla codificazione tecnoscientifica e viene consegnata all’orizzonte della meraviglia, dello stupore. L’esperienza a-razionale del thaumazein, che si nutre della bellezza degli enti, dell’unità tra tutte le presenze del cosmo – dal mare al sole – fa scoprire all’uomo la propria umanità e mette assieme sentimenti, emozioni e ragione per l’attivazione dell’avventura della conoscenza di sé, degli altri, del mondo. E ciò senza sottrarsi alle delusioni, amarezze e sofferenze che potentemente si esprimono anche nella Chiosa finale con la figura del ricordo delle gioie passate e non tanto delle cattiverie subite, ma con la speranza che ogni buona azione venga ricordata e ancora di più salvata. 

 

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