Profili da Medaglia/13 - "Mircea Eliade" di Tommaso Romano

Mircea Eliade nacque a Bucarest nel 1907, morì a Chicago, dove insegnava, nel 1986.
Storico delle religioni, antropologo, studioso del mondo arcaico, orientalista, mitografo, filosofo e scrittore, sostenitore del primato e della categoria del sacro.
Sterminata la sua bibliografia. Scrisse in un suo saggio del 1945 edito nel 1949: «L’essenziale della mia ricerca riguarda l’immagine che l’uomo delle società arcaiche si è fatto di se stesso e del posto che occupa nel cosmo».
La visita a Palermo di Mircea Eliade, per ricevere il Premio Internazionale Mediterraneo 1983, si deve a Vittorio Vettori. Ma il merito può ascriversi anche a Nino Muccioli e a chi scrive. Vettori era, infatti, da molti anni in contatto con Eliade, dato che, nella sua straripante produzione, un posto preminente era dedicato al mito e al sacro, oltre che alla letteratura, alla filosofia e all’antropologia. Vi erano, quindi, legami non transeunti con Eliade, tanto che vettori sostenne l’idea mia, di Pier Luigi Aurea e Umberto Balistreri, per un Premio da intitolare al nome dello straordinario intellettuale romeno e che fu, dal 1986, assegnato prima ad Augusto Del Noce, poi a pio Filippani ronconi, Roberto Rubinacci e, infine, a Elémire Zolla.
Come in ogni occasione annuale del Premio Mediterraneo, si organizzavano i Criterium, incontri di alto livello su temi di letteratura, arte, filosofia. Quell’anno il Convegno era il 21 Ottobre 1983 si svolse all’Hotel delle Palme, nella sala Wagner, così chiamata dal nome del genio che vi soggiornò finendo di comporre, nel 1891, il Parsifal. Fu in quella mattinata che incontrai Eliade, certamente uno degli uomini più colti, profondi e arguti del Novecento internazionale, per quanto discusso, specie dalla Sinistra, dato il ricorso al fondamento del sacro e per le origini che lo legarono in gioventù al movimento della Guardia di Ferro di Corneliu Zelea Codreanu. Eliade era comunque un’autorità riconosciuta e rispettata. Lo notai anche dalla deferenza che gli mostrava nella medesima occasione Giorgio Bassani, anch’egli fra i premiati di quell’anno e che mi parve un essere assai introverso, pur apparendo pieno di tatto, con riguardo e gentilezza.
Eliade possedeva un forte carisma, ma era attento, curioso. E, dalle spesse lenti e dalla figura smagrita, emanava, con la certezza della sapienza intellettuale, un sottile fascino. Non era per nulla un uomo altezzoso, superbo; anzi, era affabile e aperto e, da poliglotta (infatti, conosceva otto lingue), ben comprendeva la nostra e comunicava con sicurezza, precisione e senza infingimenti.
Portava dei guanti, segno di una grave artrite, che lasciavano libere le dita, e fumava la pipa con solenne beatitudine e lentezza.
Avevo invitato Eliade d’accordo con il patron del Premio, Muccioli, e con Vettori che era ospite e relatore abituale e autorevole pure dei Convegni Cristianesimo-Islam, voluti da Aurea (e dei quali fui il primo editore), ad una sessione, a Mondello, che si svolgeva apposta in quegli stessi giorni, iniziativa che aveva sempre un’eco ampia. Fui invitato, a seguito di un mio intervento a quegli storici incontri, anche a pubblicare un mio testo, che uscì sulla “Rassegna del mondo Arabo”, a quel tempo la più autorevole rivista dei Paesi Arabi in Europa.
La presenza di Eliade galvanizzò anche quel consesso di studiosi e islamisti, cristiani e musulmani, in un momento storico in cui le tensioni con l’Occidente erano minori, quasi nulle, se non per i conflitti con Israele dovuti all’irrisolta questione palestinese (come Giano Accame, Mario Tedeschi, Giulio Caradonna, a Destra sono stato sempre un pubblico e piuttosto isolato sostenitore dei diritti di Israele).
Il tempo del dialogo che Giovanni Paolo II intesseva sul versante cattolico era stato preceduto da un movimento dottrinale variegato in campo tradizionalista, ma che aveva in René Guénon, poi convertitosi all’Islam, il punto più autorevole. A tale filone si riferiva Aurea, in particolare. Gli Atti degl’incontri erano poi inseriti nella rassegna edita dal gruppo “Sacro e Profano”. Eliade accettò volentieri di prendere la parola, pronunciò l’intervento e rilasciò parecchie interviste a Bent Parodi, Donata Aphel, Delia Parrinello, Vittorio Vettori, L. D’Andrea Pietrantoni, G. Crisella e al benedettino padre Anselmo Lipari per “L’Osservatore Romano” (5 novembre 1983), con echi in altri articoli di Antonino Giardina, K. Biagioni Gazzoli, Gigi Consiglio, Domenico Cambareri, V. Poggi, Fausto Gianfranceschi, che, presente anch’egli al Convegno, ne scrisse uno per “Il Tempo” di Roma.
Assegnammo il Premio mediterraneo, con un disegno di Pippo Madè molto gradito da Eliade, con la seguente motivazione: «La sua produzione scientifica e letteraria è abbondantissima e comprende saggi, volumi di poesia e narrativa. Tra le sue opere maggiori tradotte in italiano citiamo: Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi (1954); Il mito dell’eterno ritorno (1968); Lo yoga. Immortalità e libertà (1968); Occultismo, stregoneria e mode culturali (1982). Su tutte spicca, per ampiezza e importanza, la storia delle credenze e idee religiose, in tre volumi, per la casa editrice Sansoni. Questa Storia prende le mosse dalla Cina neolitica, parlando poi ampiamente del Buddhismo, del confucianesimo, della religione greco-romana e del cristianesimo, sicché l’Occidente diviene il punto cruciale della sua ricerca e della sua analisi, che si estende, in questo senso, dalla Grecia a Roma e all’Egitto, specie attraverso i misteri orfici e di Mitra. Si scopre così una specie di coscienza unitaria della storia spirituale dell’umanità. Nella Premessa alla sua Opera, Eliade afferma, con l’umiltà e la modestia che gli sono proprie, di aver imparato molto, in cinquant’anni di lavoro, da maestri, colleghi e studenti, cui professa la propria gratitudine. Gratitudine che noi tutti gli dobbiamo, per i tesori di scienza e di dottrina che ha offerto e certamente offrirà ancora a lungo alla nostra meditazione. Quel “senso del sacro”, che è in noi come in tutto il resto dell’umanità, ne esce arricchito e confermato, a sicura e confortante riprova dell’esistenza di quel Dio che è a tutti Padre».
Come si è potuto constatare è un po’ più di una semplice motivazione. Vanno aggiunte alcune parole dello stesso Eliade: «Il mondo moderno non ha completamente abolito il comportamento mitico, ne ha soltanto rovesciato il campo d’azione: il mito non è più dominante nei settori essenziali della vita, è stato rimosso... Nonostante tutto, la comprensione del mito sarà annoverata tra le più utili scoperte del XX secolo» (cfr. Miti, sogni, misteri).
A quelle giornate palermitane, alla figura e all’opera dello studioso insigne e del narratore (nel 2007 Francis Ford Coppola trasse un bel film dal romanzo di Eliade, Un’altra giovinezza, edito da Rizzoli), Umberto Balistreri volle curare un interessante testo (Mircea Eliade, edizioni Iperbole, Palermo, 1987) che racchiudeva il senso della venuta di Eliade, la cronaca di quei giorni, le maggiori interviste rilasciate (molto belle quelle a Bent parodi per il “Giornale di Sicilia”, 25 ottobre 1983, e a Francesco Grisi, per “il Borghese”, 13 novembre 1983). Altre significative pagine sull’evento si trovano nel volume Il vangelo degli Etruschi di Vittorio Vettori (SPES, Milazzo, 1985, pp. 149-154).
Si combinò fra noi una cena a Mondello post-premio, con anfitrione Francesco Grisi, che se ne intendeva. fu in quel contesto che potemmo assistere alla metamorfosi di Eliade, ritornato per quella sera un latino verace, brioso e di grande compagnia, che si cimentò perfino a cantare con noi e a tracannare un buon vino locale. Grisi ne scrisse una pagina memorabile ne “il Borghese”. Alla fine, lo abbracciammo tutti come un vecchio e caro amico e lui ricambiò con affetto. Tutto ciò forse a Chicago difettava. ne fu probabile spia la misteriosa morte del suo allievo, Culianu.
Volli portare Eliade a visitare il mio studio; benevolmente consentì e con partecipazione mi parlò dei suoi rapporti con Jünger, Evola, Jonesco, Ciorian. Sulla Guardia di Ferro, scorgendo un libro da me edito di Horia Sima, glissò elegantemente.
Furono giorni importanti e rimasti cari alla mia memoria, ma anche alla sfera delle sensazioni irripetibili e tuttavia permanenti. Occorre non dimenticare, fra le «grandi autobiografie simbolizzanti del XX secolo», come scrisse Horia, quella di Eliade, Les moissons du solstice, edita da Gallimard.
Eliade possedeva, diremmo con Jünger, un cuore avventuroso e ce lo mostrò.
Gli dedicai con ammirazione i versi che trascrivo, tratti da Eremo senza terra, una raccolta del 1993: «Per Mircea Eliade. / Pure gli umani miti / del tempo sacro / dell’entusiasmo-scoperta / dell’adolescenza / del tuo inchiostro sciamanico / e di ferro / il saggio candore / lucente sul mare di Mondello / quando diedi voce alla parola / e un volto d’agave antica / alle tue mani nascoste, scompaiono per sempre / nel cielo magico / delle nozze con Dio».
Mircea Eliade non tornò nella Patria liberata, anzi, come scrisse Horia, «è morto proprio mentre si avviava al ritorno».
Debbo conclusivamente affermare che la monumentale Opera di Eliade, pur restando paradigmatica (come ben ha osservato Marcello Veneziani nel suo straordinario Alla luce del mito, Marsilio, 2017), è tuttavia, riferendosi proprio alla citazione prima ricordata di Eliade, «lecito dubitare che sia una “scoperta” del secolo scorso e non dei secoli precedenti si pensi a Vico, Herder, ai Romantici e che sia effettivamente avvenuta e non sia piuttosto una svolta ancora da avverarsi compiutamente».
 
nella foto da sinistra: Francesco Grisi, Robert Andrè Mircea Eliade, Tommaso  Romano
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