Teresa Maria Ardizzone, "Palermo con i miei occhi. Il sogno della rinascita" (Ed. Thule) - di Giuseppe Bagnasco

 Socrate non lasciò nessun testo scritto, nessuna testimonianza del suo pensiero. Era  contrario alla scrittura perché, affermava, ciò che rimane scritto non è suscettibile di confronto con chi legge. E in ciò lui fu un maestro così come di lui ci tramanda Platone nei suoi “Oi dialogòi” e che fu il suo vero “evangelista”. Teresa Maria Ardizzone in questo “Palermo nei miei occhi” (Fondazione Thule Cultura – 2023 Palermo), non sollecita, né ambisce confronti, non chiede , non attende risposte, non offre il destro a eventuali contestazioni. Nulla di tutto ciò. E a sottolinearlo sta nel sottotitolo “Il sogno della rinascita”. Quindi due obiettivi in uno: Palermo, vista con gli occhi di una cittadina amorevole che sogna la sua rinascita. Ma rinascere da cosa? Anzitutto, afferma l’Autrice, dalla infausta crosta che gli è stata affibbiata da una certa cultura della “sinistra” intellettuale nell’averla identificata come la capitale della mafia. E se la mafia esiste e ciò senza dubbio alcuno, essa è datata dal connubio stabilito da Garibaldi con i “picciotti” dei feudi baronali. Ed è pur vero che il campo dello spettacolo ne ha fatto grancassa con i fortunati film come la saga americana de “Il padrino” o con i nostrani “Divorzio all’italiana” e “Sedotta e abbandonata”, dove accanto al potere mafioso vi si affiancava l’icona della donna siciliana che col velo nero in testa vive sottomessa all’uomo. A ciò, per finire, la serie  de “La piovra” che per quasi vent’anni coprì di vergogna la Sicilia. Teresa Maria Ardizzone non segue l’esclusività socratica e, sebbene rifugga dagli album di fotografie o dallo scrivere diari di vita, tuttavia ci propone il presente eccellente testo presentandosi essa stessa nella duplice veste di testimone del tempo e di turista della propria città, che ama profondamente. Nella prima, ci accompagna passo-passo nell’arco di tempo che va dal secondo dopoguerrra ai giorni nostri e per ciò, lo definiremmo come un calendario di fatti e misfatti. Nella seconda, andando per vicoli, a ripercorrere storia millenaria e concerti tra mafia e politica del tempo. E’ certo un testo di sociologia applicata che ha come scenario Palermo, una città martoriata con il famoso “sacco di Palermo” dove a farne lo scempio furono le tante residenze liberty per il far posto all’anonimato di nuovi quartieri  e purtroppo, con  la sinistra nomea di centro internazionale della mafia. Non fu facile, afferma la Nostra, scrollarsi di dosso questa nefasta etichetta e mostrare al mondo il sacrificio di tanti valorosi difensori della legge che contrastavano il fenomeno mafioso. Fu il periodo delle “lenzuola bianche ai balconi” e delle manifestazioni per la legalità. A ciò, annota la Scrittrice, si aggiunsero “Gli indimenticabili anni sessanta” dove accanto alla “scapigliatura” che terremotò la sedimentata società patriarcale, si registrò la rinascita culturale della città. Una vita culturale che vide nel tempo la nascita di tante Case editrici, dalla “Sellerio” alla “Thule”, tanto per citarne alcune nonché  del “Sindacato Liberi Scrittori Italiani” che si oppose e contrastò il dilagare del “pensiero unico”. Ma accanto alle “cose buone” che portarono alla emancipazione della donna, come sempre accade, altre se ne registrarono di diverso avviso. Ci riferiamo alla “Comune” nata a Terrasini dove tutto era in comune (sesso compreso), anche se dopo energicamente ripudiato come nel caso dell’attrice  Giuliana De Sio, protagonista in quella che poi sarà “La città del Mare”e, non ultimo (veramente nefasto) la pretesa e la concessione da alcuni cattedratici universitari del “ 18 politico” agli studenti. La conseguenza fu la fuga dagli atenei statali e il riparo a quelli privati quali “Bocconi”, “Sacro cuore”, “Luiss”, “Lumsa ecc.. Maria Teresa Ardizzone narra tutto ciò con delicatezza senza accenni personalistici o di grave critica politica ma vedendovi quegli spunti positivi che avrebbero portato all’Istituto del Divorzio e alla nascita dei Consultori, cioè all’affermazione della volontà autonoma del “femminile”. “Palermo con in miei occhi” esce dalla penna di una idealista. Un idealismo alto, non di bassa lega come di chi afferma “se non la pensi come me, sei un fascista”, ma un idealismo volto al recupero della bellezza sia essa interiore, sia artistica e monumentale di una città che ama e che merita di tornare ai suoi fasti. E qui il ricordo non può non ricorrere ai fasti dell’ultimo Ottocento palermitano con l’Esposizione Universale dovuta ad una città resa “europea” dalla Famiglia dei Florio (calabrese di Bagnara) e la cui icona si preserva tutt’oggi nella figura di Franca Jacona Florio di San Giuliano. Sono tutti richiami che l’Autrice fa enunciando le varie imprenditorie che si affermavano dai Ducrot alla Fonderia Oretea, ai Cantieri navali, dalla lirica operistica ai grandi Alberghi perfino ai tanti bar dove si dava convegno l’intellighenzia palermitana e isolana del tempo, da Tomasi di Lampedusa a Elio Vittorini, da Gesualdo Bufalino a Leonardo Sciascia. Un florilegio di nomi famosi compresi quelli della grande nobiltà aristocratica e reale europea. Certamente queste testimonianze, così piene di particolari non eludono il richiamo ai cibi, panelle e quaglie, alla “vuccirìa” dei mercati, ai “curtigghi”, ai gelati al Foro italico, ma si estende alche alla vita familiare con i progressivi cambiamenti di riti e costumi e non ultimo un piccolo aneddoto che, giusto per alleggerire la solennità del racconto, annotiamo e cataloghiamo con gusto. Racconta infatti l’Ardizzone che il suo papà diede il permesso ad un suo amico di ricoverare la macchina dentro il recinto della sua proprietà e dove mentre la macchina era una “Topolino”, il suo proprietario un medico veterinario!. Sono queste piccole cose che rendono ancor più credibili quanto descritto dagli occhi di una rappresentante della buona borghesia palermitana. Pertanto sono sguardi “distaccati” e insieme amorevoli  quelli che Teresa Maria Ardizzone volge con misurata fermezza verso tutto ciò che la circonda e che alla fine le fa rendere conto di avere costituito con la sua presenza una sorta di “ponte” tra la sua generazione e quella a seguire. Dal suo racconto, così come annota in quarta di copertina Gonzalo Alvarez Garcia, un attento lettore può seguirci settant’anni di vita e di storia di una città che, attraverso i vicoli, le edicole religiose, gli edifici monumentali, i palazzi, le chiese perfino quella della “Madonna della catena” (che la sera chiudeva l’antico porto), fino al più bel Promontorio del mondo (a detta di Goethe), nonché ai suoi profumi, i templi della lirica, lo splendore del Liberty, i musei, dicevamo, attraverso tutto ciò questa città può e deve porsi e imporsi come il centro della cultura mediterranea. Fu il crogiolo, come si disse, delle civiltà che lì vissero lasciando ciascuna per sé una impronta indelebile. Sono questi i costrutti perché Palermo, come è negli auspici dell’Autrice, riviva un secondo Rinascimento. Per tutto ciò che vi è narrato, ci sembra doveroso esprimere il nostro cenno positivo a questo lavoro. Non è un album di ricordi fini a se stessi, né un sequel scenografico, né un accumulo di testimonianze, detti, aneddoti, frasi parossistiche, né di concetti statutari, ma una semplice descrizione espositiva, leggera e accattivante, quasi un dettato pedagogico che l’Ardizzone, docente di umanistica negli istituti statali, poetessa e accademica, offre alla collettività, soprattutto ai giovani, quale supporto per la realizzazione  a Palermo di quel “Sogno per la rinascita”.

  Casteldaccia, 2024, nel giorno della Madonna del Carmelo.

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