“Ad una mostra personale di M. Brusca: pesa lieve come terracotta...” di Anna Maria Esposito

Ogni artista è un mondo a sé.

Avvicinarmi a questo mondo è entrare in una intimità che non mi appartiene. E se fare questo qualche volta è piacevole, ed è come un gioco che consiste nello svelare segreti leciti e divertenti, altre volte invece quel mondo alieno lo trovo denso, ingombro, già pieno di sogni, tanto che per i miei, di sogni, spazio non ce n'è.

Alcuni artisti mi provocano una vertigine. Perché mi rendo conto che altre leggi, sconosciute, regolano i fenomeni naturali dei loro differenti luoghi dello spirito.

Altri sguardi, altri spazi, altre scansioni temporali. Nei mondi che essi creano le stagioni possono avere durate diverse, e così anche le ore. Nei loro mondi le albe e i tramonti disvelano orizzonti per gli estranei incomprensibili.

È con questa difficoltà che mi sono avvicinata al mondo di Mariano.

Infatti entro in un mondo già strutturato, e vissuto da personaggi imponenti e lievi, personaggi severamente saggi, leggiadri e seri.

 Ora spiego come li vedo:

mi pare di coglierli mentre stanno svolgendo un dialogo fra loro o con se stessi. Essi guardano spesso il loro cielo con occhi sognanti, mentre vagheggiano un futuro senza nubi, costituito da certezze immutabili. Possono permetterselo: chi li ha scoperti (l'artista) li lascia liberi di vivere i loro sogni: li incoraggia, li circonda, li osserva e non fa nulla per intralciare le loro vite.

Ecco i loro gli sguardi obliqui, o sognanti di droghe da sibille. E sguardi di intesa. Talvolta il cipiglio è determinato. Si impartiscono ordini fra esse, in muta intesa, e capisci che, pazienti, si assecondano. E mi sembra che ognuna di queste azioni sia imprescindibile, assolutamente fondante per il loro essere. Mi aggiro fra loro cercando di scoprire i loro segreti. Talvolta si abbandonano a gesti esplicativi (si capisce: fatti solo e soltanto per noi, quando decidono di compatire la nostra incapacità di comprenderli).

E anche in questo loro strano mondo i cieli sono solcati da stormi di uccelli. Ma che sono costretti a volare in blocco, in piccoli plotoni, perché a loro nessuna libertà nel volo è concessa.

Il nostro artista li ha saldamente connessi fra loro con spesso filo di ferro, che sostiene e contemporaneamente lega il loro volo. Ma ne sembrano felici. Sanno che il loro volo deve essere così, sanno che è il miglior modo per volare possibile.

Le delicate e sapienti patinature e le vernici preziose rinchiudono ancora più saldamente ognuno di questi corpi in una levità pesante come piombo. Tacciono ma, guardandoci, esprimono miliardi di concetti.

Osservo l'artista. Anche lui è circondato da un mondo di voci e di sguardi. Si capisce che è amato, in modo misterioso per me, che gli sono estranea. Ma, si sa, mi aggiro nella porzione di realtà che mi è stata assegnata cercando di scoprire i suoi misteri, e mentre osservo ogni essere umano vedo balenare l'universo che è creato soltanto per lui.

Privilegiati, gli artisti.

Solo loro conoscono veramente il senso del vivere, e coraggiosamente addentano la vita in sugosi bocconi.

Certo, anche loro sono fragili, come tutti siamo. Ma loro, di questo mare, si inzuppano ed avanzano, nei loro abiti fradici, perché il senso della vita pesa, e non si rinuncia, ma lo si affronta.

(Stanchi, ma non tiriamo i remi in barca).

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