"L’opera dei pupi nella storia delle tradizioni popolari" di Giovanni Teresi

 
L'Opera dei pupi (in dialetto catanese opira dé pupi ) storicamente nasce come rappresentazione degli scontri medievali tra i Cavalieri e i Mori attorno alla prima metà del 1800.
La diffusione di tale forma di espressione artistica, fu favorita principalmente dai "Cantastorie" e dai "Cuntastorie". L'uno, artista-girovago, tratta il tema epico (storie e leggende scritte) nonché scene e avvenimenti della vita quotidiana attraverso il canto; mentre il cuntastorie con “u cuntu” (racconto a puntate) tratta prevalentemente di argomenti epico
cavalleresco attraverso la declamazione essendo un narratore che non utilizza alcuno strumento musicale, ma usa modulare la voce, assumendo appropriate posizioni del corpo (postura) e mettendo in movimento le varie parti del corpo (piedi, gambe, braccia, testa, occhi).
Nella seconda metà dell'800, i marionettisti girovaghi rafforzano il carattere professionale del loro lavoro, perfezionando le tecniche di espressione allo scopo di richiamare un pubblico sempre più vasto. Da allora inizia la realizzazione del pupo e il confluire nell'opra la tradizione epico – cavalleresca. Nell'Opra dei Pupi si ha la trasmissione di alti codici di comportamento dalle antiche origini che hanno interessato il popolo siciliano, codici come la cavalleria, il senso dell'onore, la lotta per la giustizia e la fede, gli intrecci amorosi e la brama di primeggiare.
L’opra porta con sé l’eterno contrasto tra bene-logos e male-caos.
Un grande apporto allo sviluppo dell’opera dei pupi è stato dato da Giusto Lo Dico, maestro elementare, che realizzò nel 1858 un’opera in quattro volumi del titolo “Storia dei Paladini di Francia”. L’opera fondamentalmente è una complessa sintesi di numerosi poemi epici e di gran parte delle storie cavalleresche che facevano parte della tradizione orale dei cuntastorie.
 
 
La “Storia”, che inizia con la nascita e le primissime gesta di Carlo Magno e termina con la disfatta di Roncisvalle, narra le complicate e tortuose vicende di Orlando, Rinaldo, Angelica, Ruggiero, Gano, ecc. che costituiscono il copione base della più nota, amata e caratteristica rappresentazione dell'Opera dei pupi siciliani. In particolare racconta della dolorosa sconfitta di Roncisvalle, in cui persero la vita, vittime di un’imboscata, le più valorose “spade” cristiane, tra cui il prode Orlando, Astolfo e il saggio Oliviero. Spesso la recitazione dei maestri pupari era a soggetto, seguendo gli appunti trascritti su carta a supporto della trama in rappresentazione.
Lo spettacolo manteneva un'alta forma popolare grazie a particolari espressioni linguistiche che incontravano il favore del pubblico, coinvolgendolo nelle storie narrate, portando ad una sorta di identificazione tra spettatore ed eroe o portando alla nascita del senso di appartenenza ad un gruppo, una sorta di trasmissione dei saperi legata agli spettacoli ai quali si partecipava.
Nel breve volgere di pochi decenni l'espressione artistica dell'opra dei pupi ha perso gran parte del suo fasto a causa della concorrenza di altre forme culturali d'intrattenimento: dapprima il cinema (dopo il 1940) e poi la televisione (1960), unitamente al boom economico e ai nuovi modelli culturali e di svago. Lo spettacolo (e il sogno) arriva direttamente nelle case e il popolo Siciliano comincia a guardare con sospetto alle proprie tradizioni che spesso richiamano un passato fatto di povertà. Il grosso problema era che un’arte fatta da artisti orali e fruita da grosse fette di analfabeti non lasciava dietro di sé molte tracce. Oggi, una grossa spinta per la rinascita dei pupi è costituita dalla domanda “turistica” di gente straniera che quando approda in Sicilia vuole vedere non solo il suo presente ma anche il suo passato, fino al punto che nell’immaginario collettivo passa l’equazione Pupi (e carretti) uguale Sicilia.
L'Unesco nel 2001 ha dichiarato il Teatro dei pupi "Capolavoro del patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità", attribuendo così per la prima volta un simile riconoscimento ad una tipica espressione della cultura popolare.
I pupi non hanno fili come le marionette. Con le aste i pupari li muovono sullo sfondo di scenari ingenui e colorati. Li muovono al ritmo degli scudi e delle spade.
"Pupi siamo, caro Signor Fifì! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti" (L. Pirandello, Il berretto a sonagli).
C’è tanta disperata amarezza in queste parole. Un’amarezza meridionale. I pupi e i pupari. Le parole possono avere significati amari. I pupari che dietro i fondali  muovono i pupi, i pupari "di l’opra de’ pupi" hanno per i pupi il rispetto "che ogni pupo vuole portato".
Questi pupari danno voce e sentimento alle loro "bambole" coperte di armature improbabili.
I pupari raccontano le loro storie improvvisando e recitando. Raccontano come si raccontava una volta, quando il narratore parlava in un cerchio di occhi sgranati e credeva anche lui nella sua favola. I pupari raccontano storie di ribelli. Raccontano la favola di quelli che si battono contro un potere prepotente e incomprensibile e in qualche modo riescono a vincere. Una favola. Una favola siciliana. E i paladini ne sono i nobili protagonisti.
La rappresentazione dell’opera narra storie tratte dalla “Chanson de Roland” dalla “Gerusalemme liberata” e dall’”Orlando Furioso”, vicende religiose legate alla passione di Cristo e alla vita dei santi, le imprese di Garibaldi e le storie dei briganti. Le figure più note sono: Rinaldo, Orlando, Angelica, Gano di Maganza , i Saracini, Rodomonte, Mambrino, Agramante, Marsilio e Agricane.
Figure, quindi, rappresentate dai pupi (dal latino pupus, i, che significa bambinello) che sono le caratteristiche marionette amate da quel teatro epico popolare che, venuto probabilmente dalla Spagna di Don Chisciotte, operò a Napoli e a Roma, ma sopratutto, dalla prima metà dell’Ottocento, in Sicilia, dove raggiunse il suo massimo sviluppo.
I pupi sono espressione “splendente” di quello spirito epico, eroico e cavalleresco, che dalla Chanson de geste medievale ai grandi poemi del Boiardo e dell’Ariosto, a tutta una tradizione letteraria, musicale, figurativa, e in particolare teatral popolare, segna lo sviluppo di un’educazione sentimentale e di una visione etica e poetica del mondo. I pupi esprimono la volontà di continuare a battersi in quella che è stata definita “la più invisibile delle guerre invisibili” che, con i nostri ideali, sosteniamo dentro di noi più che fuori. I pupi ci aiutano a capire il Gran Teatro del Mondo, con essi possiamo aprirci un varco verso quel po’ di libertà che si può conseguire nella recita “a soggetto” del sacro canovaccio del destino, e affrontare il pathos dell’ esistenza in un “catartico” gioco di arte e di poesia. In tal senso, un teatro come quello dei pupi può essere “necessario, … essenziale come il pane”.   I pupi portano in scena l'epica dall'Iliade e dalla Bibbia alla Chanson de Roland e ai romanzi dell'epopea cavalleresca. Si ritiene che l'epopea carolingia sia arrivata in Sicilia con i Normanni, nel sec. XII. Che essa sia stata fatta propria dalla gente fin da allora o che sia diventata epopea popolare successivamente, poco importa; è certo che ha trovato in Sicilia uno straordinario favore per cui si è conservata fin ai giorni nostri.
A partire dal sec.XIX il racconto popolare dell'epica cavalleresca franco normanna utilizzò il pupo già conosciuto rivestendolo di fogge che si rifacevano alla iconografia cinquecentesca.
Gli eroi paladini, rappresentati nel teatro dei pupi, unitamente alla esaltazione dei valori morali di cui sono campioni, mettono in risalto il confronto tra la civiltà europea ed islamica, del cui urto la Sicilia è stata teatro: per questi valori i paladini lottano e muoiono, rimanendo così nella cultura popolare tra il mito e la storia vera. 
 
A Catania (il pupo della tradizione catanese è alto circa m. 1,30 e pesa dai 15 ai 35 chilogrammi), all'inizio del secolo, operavano numerosi teatri che mettevano in scena diverse storie. Ogni "storia" veniva narrata con cicli rappresentativi che potevano prolungarsi, serata dopo serata, anche per mesi. Ogni singola rappresentazione veniva preannunciata da un "cartello" con la scena principale della serata e con una sintetica descrizione del programma. Il commento musicale, quando c'era, era affidato a musicanti di mestiere (generalmente un violino, un mandolino, una chitarra) che, su indicazione estemporanea del "parlatore", eseguivano brani in voga, veloci o lenti, a seconda dell'azione scenica. Dell’opera dei pupi ne esistono tre diverse tradizioni: quella “palermitana” diffusa nella Sicilia occidentale, quella “catanese”, diffusa nella Sicilia orientale e in Calabria, quella “napoletana”, diffusa in Campania e in Puglia, che differiscono per qualche aspetto della meccanica, della figurazione e per qualche soggetto.
Alcuni studiosi del 1700 supponevano che l’abilità dei pupari derivasse da quella di alcuni siracusani molto bravi nel costruire e far muovere marionette a tempo di Socrate e Senofonte.
Nel 1700 i pupari con pupi in paggio (non armati) rappresentavano alcune storie siciliane; di tutte queste opere sono arrivate a noi soltanto le farse, che ancor oggi vengono rappresentate. Esse ci ricordano le “Vastasate”, spettacoli portati in scena al “Piano della Marina” dentro un baraccone chiamato “casottu di li vastasi” guidato fra gli altri dal comico Don Peppe Marotta.
Nello stesso periodo a Palermo vi erano molti “Cuntisti”, che affabulavano il pubblico con intrigate vicende di incantesimi, tradimenti, inganni, amore, duelli e battaglie.
La gente seguiva racconto per racconto intere storie e seguiva un personaggio dalla nascita alla morte. Prendendo spunto da queste narrazioni, due pupari, Don Gaetano Greco e Don Liberto Canino decisero di vestire i loro pupi in paggio con delle armature, costruendo guerrieri cristiani e saraceni, sulla base degli affreschi esistenti a Palazzo Reale e allo Steri. Copiarono lo stile delle armi, creando dei modelli e cominciarono a costruire i pezzi delle armature, prima in maniera rudimentale, via via più raffinate e tecnicamente sempre meglio articolate. I visi, perfettamente intagliati, riscattavano qualche manchevolezza della struttura e davano al pupo l’immediato carattere del personaggio, fiero o burlesco che fosse.
 
La lavorazione artigianale di un pupo è rimasta identica a quella applicata dai primi costruttori.
Per la costruzione dei corpi, delle teste e degli animali viene usato il legno di faggio, di noce, di tiglio e di cipresso. L’ossatura viene preparata in nove pezzi che vengono così suddivisi: due piedi, due gambe, due cosce, un busto, mano e pugno o doppie mani.
Queste parti vengono montate tra di loro con il fil di ferro.
L’ossatura viene misurata dal piede sinistro alla spalla, il piede destro viene accorciato di qualche millimetro, accorgimento utile per facilitare il primo passo.
Le misure dell’ossatura variano dai 45 cm per i ragazzi e per gli angeli, ai 62-63 cm per i paggi misti e soldati; si arriva ai 65 cm per i cavalieri ed ai 70 cm per i giganti.
Il braccio viene strutturato con una tela resistente che lascia libertà di movimento; la tela viene fissata alla spalla con dei chiodi e innestata ai polsi con una cordicella.
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