“La metafisica dell’anima per la poesia “ereticamente” cristiana di Pierfranco Bruni” di Marilena Cavallo
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- Creato: 07 Dicembre 2018
- Scritto da Redazione Culturelite
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Una poesia che attraversa il naufragio e si vive nella “memoria”. La poesia resta sempre un respiro dell’anima e si legge con una visione tra l’onirico e il metafisico. Il poeta ha sempre un luogo geografico che è dato dalle sue radici, dalle sue matrici esistenziali, dalla sua mater – terra dolce e malinconica. Il poeta conosce l’appartenenza ma anche, in molti casi, la diaspora. La poesia è fatta di diaspore. Penso a Montale. A Quasimodo, ad Alfonso Gatto, a Giorgio Caproni sul quale noi come scuola ci siamo confrontati proprio durante gli esami di Stato. In molti poeti il luogo diventa una Itaca dalla quale si parte e un destino che ha bisogno di compiersi con il ritorno. E poi ci sono i poeti erranti. Ungaretti è tra diaspora e il porto, ma il suo resta un porto sepolto come metafora di una memoria del e nel tempo.
Ho avuto modo in questi anni, grazie ai miei studi, di approfondire molti poeti, anche attraverso alcuni servizi per i programmi culturali della Rai Spazio Libero, che hanno abitato i luoghi come metafora e metafisica dell’anima. Una eredità che ha come interpretazione mitico letteraria un poeta di una straordinaria immensa immaginazione che vive di sublime: Kavafis. Sempre si ha in mente Itaca.
Mi sono soffermata su alcuni protagonisti della poesia del Novecento calabrese che hanno segnato un tracciato sicuro in una temperie letteraria conflittuale e a volte anche contradditoria. Da Corrado Alvaro, sul quale ho avuto la fortuna di realizzare un servizio Rai a confronto con D’Annunzio, a Francesco Grisi e a Lorenzo Calogero sino a toccare poeti più recenti, più contemporanei, come Corrado Calabrò e Pierfranco Bruni.
Comunque credo che le direttrici della poesia del Novecento calabrese si aprono, oltre che con l’Alvaro del viaggio (ben definito da Pierfranco Bruni in “Il viaggio accanto” per i tipi di Ferrari editore) con Lorenzo Calogero che resta il punto di sdoganamento di una poesia geografia che ha la sua robustezza baudelariana dell’invito al viaggio, ripreso dal filosofo Manlio Sgalambro insieme a Franco Battiato. Il Calogero che muore nel 1961 (era nato nel 1910) si intreccia con la grande poesia di Giuseppe Selvaggi che pubblica il suo ultimo magnifico testo nel 1984 “Corpus” e muore nel 2004 (era nato nel 1923, il libro che fa fede al poeta Selvaggi è stato pubblicato da Il Coscile e scritto da Pierfranco Bruni).
Nella Calabria della spiritualità si evidenzia una figura straordinaria che è Ermelinda Oliva, dalla caratura di una Cristina Campo o Antonia Pozzi. Oliva muore nel 2003 e lascia un solco ben evidente nella spiritualità letteraria della Calabria della poesia.
Nella metafisica dell’onirico ci sono tre poeti che segnano una precisa visione generazionale. Tre poeti nell’Italia del Novecento nelle diverse sfaccettature, appunto, generazionali. Francesco Grisi che nasce nel 1927 e muore nel 1999. Corrado Calabrò, generazione metà anni Trenta e Pierfranco Bruni, metà anni Cinquanta. Di Grisi si conosce lo scrittore, ma è anche un poeta importante nel solco di una profonda grecità come Corrado Calabrò che si porta il mare tra le parole e il linguaggio del viaggio nel cuore.
Un discorso a parte andrebbe fatto per Pierfranco Bruni (1955, San Lorenzo del Vallo, Cosenza), il vero poeta nel quadro delle sperimentazioni di un nuovo Novecento, che ha saputo intrecciare la poesia, nasce, infatti, come poeta nel 1975, con “Ritagli di tempo” (Pellegrini, editore) alla narrativa e alla filosofia oltre che ai percorsi antropologici della letteratura. Da “ilcanto.vento” (in E Book per Ferrari), ad “Asmà e Shadi” (Pellegrini) passando attraverso “Via Carmelitani”, “Viaggioisola”, “Ulisse è ripartito”, “Ti amerò fino ad addormentarmi nel rosso del tuo meriggio”, “Come un volo d’aquila”, “Fuoco di lune”, che raccoglie le poesie dal 1974 al 2004, sino alla poesia mistica di “Canto di Requiem”, e “Alle soglie della profezia” (2017), di cui ho curato la Introduzione, ad un recentissimo “Il mio canto sciamano”. Il profilo, come si nota già dai titoli, è di uno scavo filosofico letterario.
Un profilo di vera poesia si respira tra questi “insonni viaggiatori” direbbe Sandro Penna. A questi poeti va aggiunto il futurista Geppo Tedeschi morto nel 1993, era nato nel 1907. Alba Floria e Beatrice Capizzano Verri chiuderebbero il panorama forte, ovvero quello lascia un indelebile tracciato nel Novecento poetico di una Calabria che è riuscita ad aprirsi ad un contesto europeo e internazionale.
Bruni è una figura costante in Albania come in Spagna. Insomma si tratta di una linea ben definita nel vissuto di una Mediterraneità che è poesia, ma è anche metafisica del pensiero e della contemplazione. Una poesia di una forte originalità infatti; nei poeti da me indicati l’originalità e l’innovazione del linguaggio restano fondamentali.
Si pensi al legame tra spiritualità sciamana e cultura tibetana nel linguaggio poetico di Pierfranco Bruni. Poeti innovatori nella tradizione, la cui presenza è consolidata dalle pubblicazioni che hanno una forte caratura lirica e filosofica (una manifestazione che sarebbe piaciuta a de Unamuno e Machado). Pierfranco Bruni è il poeta di una generazione che ha attraversato le “epoche” dei movimenti e delle “correnti” e con la sua completa autonomia, come egli dice “eresia” (sulla quale non ci credo tanto sul piano religioso, perché è profondamente cristiano e credente), è il vero poeta di una “metafisica dell’anima”. Ovvero è nel filo di una visione ontologica cara a Maria Zambrano, pur nella sua inquietudine del sottosuolo. Ed è qui che la poesia di Pierfranco Bruni diventa “eresia” per troppa cristianità.