Prefazione di Antonino Cangemi a “CALDERONe una barca di sogni” di Guglielmo Peralta

      Da Guglielmo Peralta un libro come questo che vi accingete a leggere lo si poteva aspettare. Da lui, soltanto da lui e non da altri. Un libro singolare, espressione del pensiero e dell’estro creativo di un autore che fa eccezione nel panorama editoriale. Peralta è un poeta-filosofo o un filosofo-poeta, se preferite, e già questo lo rende singolare. Tra filosofia e poesia, infatti, fin dai tempi di Eraclito, che riteneva Omero «degno di essere scacciato dagli agoni e di essere frustato, ed ugualmente Archiloco», non è mai corso buon sangue. Né diversamente da Eschilo la pensavano Platone, Aristotele e via via i filosofi che hanno segnato le tappe evolutive dello sforzo speculativo. In verità nei secoli, e in particolare nel XX qualcosa è cambiato se si pensa soprattutto all’attenzione che Martin Heidegger dedica alla poesia o alla filosofa spagnola Maria Zambrano, secondo la quale per appagare lo stupore dinanzi  ai misteri dell’esistenza e della conoscenza l’uomo non può far leva sulla sola ragione ma anche sulle sue energie emotive e sentimentali. Tuttavia, ancor oggi continua a prevalere la convinzione – ben radicata nel tempo – che la filosofia è alimentata dal rigore razionale mentre la poesia trae linfa da intuizioni meta-logiche e, pertanto, esse sono tra di loro  inconciliabili.

       Se si leggono gli ultimi due libri di Peralta si noterà, con sorpresa, che Sul far della poesia (Spazio Cultura, 2022) è una raccolta di versi e Il paradiso e la scrittura (Il Convivio, 2023) un saggio di filosofia, e non solo ciò, che già di per sé esula dall’ordinario, ma che le due opere sono tra di loro speculari: in entrambe, con un linguaggio e una risonanza differenti, si enuncia la medesima e originale visione della vita, dell’uomo e dell’universo. Ma Peralta è un autore sui generis anche per un altro motivo, seppure strettamente legato alla sua anima divisa tra la poesia e la filosofia: è “ossessionato” dalle parole, dalle loro radici etimologiche, dalla loro semantica, dai loro suoni, da tutto ciò che esse richiamano, sottintendono, suggeriscono in un’intrinseca potenzialità tutta da esplorare. La parola, per Peralta, ha una sua sacralità: «Tutto è parola. E l’anima, che partecipa dell’essenza dell’universo, anela a fare della Parola la propria casa», ciascuna di esse ha un rilievo diverso, una diversa graduazione gerarchica, pur nella sua aristocrazia: «Le parole sono astri. Alcune sono stelle, altre pianeti: le prime brillano di luce propria, le seconde di luce riflessa. Ma le parole più splendenti sono comete».  Peralta, le parole - verso cui nutre un autentico culto - le viviseziona, le scompone, le smonta, le scarnifica, se è il caso le fa figliare generandone altre e nuove. Come testimoniano i diversi neologismi da lui coniati, tra cui soaltà, termine accolto dal  dizionario della Treccani[1]. Detto ciò, chi se non il poeta, filosofo, acrobata delle parole Peralta avrebbe potuto scrivere il libro che s’invita a leggere, che è un condensato di filosofia su cui aleggia la grazia della poesia e nel quale la parola, più che in qualsiasi altro testo, è la protagonista assoluta?

       «L’aforisma, la sentenza, sono le forme dell’eternità; la mia ambizione è dire in dieci frasi quello che chiunque altro dice in un libro, quello che chiunque altro non dice in un libro», scrive Friedrich Nietzsche, col quale Peralta spesso si confronta divergendo dalle sue posizioni. Ma questa volta i due convergono: l’aforisma è la sintesi estrema e più felice del pensiero e il veicolo per esprimere efficacemente ciò che non si riesce a esprimere altrimenti. CALDERONe una barca di sogni - titolo che esplicitamente  richiama Pedro Calderòn de La Barca - è un libro di aforismi, se si accoglie l’accezione più ampia del termine. In realtà, come è evidenziato nel sottotitolo, il libro contiene, oltre agli aforismi più puri - così l’autore definisce l’aforisma, alla voce aggiungendo «a (privativo) + fori + risma»: «Massima che in poche parole esprime un pensiero, anche filosofico o morale, meglio di qualunque discorso pronunciato nei “fori” o piazze, o fissato in una “risma” di carta» - meditazioni, boutades, calembours, divagazioni e divertissement.

      D'altronde l’aforisma ha assunto, nell’uso che del termine è stato fatto, un significato polivalente. Sono stati considerati aforismi le enunciazioni sentenziose di filosofi (da Seneca ad Arthur Schopenhauer, da Nietzsche a Ludwig Wittgenstein), le massime moralistiche (si pensi a quelle di Franҫois de La Rochefoucauld),  i ritratti psicologici in poche battute (I caratteri di Jean de La Bruyère), le arguzie caustiche e i disinvolti eleganti giochi di parola (si pensi ai Detti e contraddetti di Karl Kraus o alle deliziose e per nulla superficiali numerose boutades che abbondano nelle opere di Oscar Wilde). Anche nei contenuti e nello spirito gli aforismi rivelano una marcata eterogeneità: in molti casi manifestano pessimismo e sfiducia nell’uomo (cupo è il pessimismo di Emil Cioran, per Kraus «Il diavolo è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini») ma non sempre: in alcuni, tra di essi quelli di Ramόn Gόmes de la Serna, spicca la tenerezza («Quando si bacia una donna sugli occhi, sopra le palpebre, si prova una sconcertante tenerezza, come si baciasse il petto di un passerotto inquieto, di pelle fine e delicata, e con un cuore caldo e delicato»). Gli aforismi si prestano a tutto: i primi si attribuiscono a Ippocrate, il padre della medicina, e sanciscono i precetti dell'arte del curare; tra tanti pungenti e pieni di scetticismo, taluni di ostentato cinismo (si legga Dizionario del diavolo di Ambrose Bierce), non mancano quelli religiosi («Dio parla nel silenzio del cuore. Ascoltarlo è l'inizio della preghiera», Madre Teresa di Calcutta, «La preghiera è la chiave del mattino e il catenaccio della sera», Mohandas Karamchand Gandhi). Se nella brevità sta la loro essenza, non esiste un'unità di misura che li certifichi: per Gesualdo Bufalino «Un aforisma ben fatto sta in otto parole», ma vi sono aforismi ben più lunghi e per questo non meno riusciti.

      Se eterogeneo è l'aforisma, così anche il libro di Peralta, nel quale troverete accanto a riflessioni filosofiche, specchio del suo originale pensiero, boutades, divertissement, giochi di parole. È un vero e proprio zibaldone, il suo testo, che si nutre della letteratura aforistica, di intenti speculativi e di quella di gusto ludico. Nel suo zibaldone vi è posto per «frammenti cosmici», come l'autore li definisce, che richiamano Dio («Dio è la creazione e il Creato, il Creatore e le Creature»), esplicitazioni in pillole della sua filosofia («La scrittura - la poesia in particolare - è un atto di perfezione. Essa è il mezzo più adatto all'uomo per ascendere al paradiso quando le parole, ricevendo il crisma della bellezza, cessano di essere anime del purgatorio o dell'inferno»), meditazioni politiche («Sovrano è il popolo se è educato ai valori dello spirito. Diversamente, il principio della sua sovranità è un dogma sul quale non può fondarsi la democrazia»), digressioni liriche ispirate dal mare, divertite facezie che vibrano nel vento della leggerezza. Quale che sia il loro spirito, alto o comune, “sacro” o “profano”,  i suoi aforismi nascono dall’ostinata passione per la parola, dalla sua esplorazione, dagli stimoli che in essa l’autore scova, anche inediti e capricciosi.

In questo libro, frutto di devozione alla parola, il poeta-filosofo, filosofo-poeta Peralta investiga sui massimi sistemi e motteggia canzonando, pontifica e scherza dilettevolmente, si aggira disinvolto - per dirla con Karl Kraus - tra «una mezza verità o una verità e mezzo», e perfino si prende “gioco” di ciò che gli è più caro: la poesia e la filosofia. Al punto di inventare cocktail di versi celebri e di dissacrare i classici della letteratura («Robinson Crusoe: a Robinson non manca certo un “venerdì”») e della filosofia («Per Talete, l'acqua è l'origine di tutte le cose. Per questo molte cose fanno acqua!»). Da qui la cifra trasgressiva del suo zibaldone: quella che, più ancora dell'eterogeneità, lo rende unico.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1]‹‹In letteratura, ideale poetico consistente nella fusione e sintesi armonica di sogno e realtà. […] Parola d’autore creata negli anni Ottanta del Novecento dallo scrittore Guglielmo Peralta, per definire il centro della sua attività poetica e intellettuale (si veda, per esempio, l’opera Soaltà: il mondo r-accolto (pubblicata da Peralta nel 2001)››.

 

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